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Da sempre sappiamo che esistono delle malattie infettive particolarmente contagiose e pericolose, che scatenano epidemie e pandemie.
In passato, sono state tristemente famose quelle di peste, di tifo, di vaiolo. Più recentemente, la spagnola, l’aviaria, la SARS. Negli ultimi anni, siamo venuti a conoscenza di un altro virus in grado di attaccare e uccidere centinaia di persone. Si tratta dell’ebola. Scopri in questo articolo di cosa si tratta.
Malaria. Non è una bella cosa, vero? E quando un paziente di nome Mabalo cercava una cura per la febbre alta nel 1976, è questo che gli altri immaginavano che avesse.
Dopotutto, viveva in un paese allora conosciuto come Zaire, un posto noto per gli alti tassi di infezioni di malaria. L’infermiera lo ha curato per questa malattia, gli ha iniettato il chinino e lo ha rimandato a casa. Purtroppo era a corto di scorte. Per questo ha tenuto l’ago usato per somministrare l’iniezione a Mabalo per gli altri pazienti.
Meno di un mese dopo, Mabalo è morto. Come è costume nella sua zona, le sue amiche donne e i parenti hanno eseguito il rituale di sepoltura sui suoi resti.
Come? Togliendo tutto il cibo e gli scarti dal suo corpo con le loro mani nude.
Andiamo avanti di qualche settimana. Diciotto degli amici e della famiglia che hanno contribuito al rituale sono morti. L’ospedale che ha usato l’ago sporco è stato immerso da pazienti aventi sintomi simili a quelli di Mabalo.
La malaria è nociva ma non così tanto. I dottori e gli scienziati hanno studiato i campioni di pazienti di questa epidemia e di una simile verificatasi nello stesso periodo in Sudan.
Hanno capito presto che avevano a che fare con qualcosa che non avevano mai visto prima – il virus Ebola. Complessivamente, il 91% delle 358 persone contagiate in Zaire morirono, e il 53% contagiati in Sudan furono vinti dalla malattia.
Dal 1976, la malattia è comparsa più di 20 volte, soprattutto in Africa. E non sembra volersi fermare. Al contrario, la situazione si sta aggravando, con la diffusione della malattia al di là del suo fulcro principale in Africa centrale e con la sua minacciosa comparsa fino in Europa e negli Stati Uniti come a novembre 2014.
E quanto è minacciosa questa presenza? Il numero delle vittime parla da sé. Ma c’è anche la spietata capacità con cui il virus può uccidere – molto velocemente, entro sei giorni dalla comparsa dei sintomi. Questi sintomi sono lontani dall’essere piacevoli – all’inizio febbre e dolori per poi passare a eruzione cutanea, diarrea con sangue, vomito e, in molti casi, forti emorragie interne ed esterne.
Probabilmente non è neanche la parte peggiore.
Decenni dopo aver scoperto questo mostro, non ne sappiamo ancora molto. Se siamo consapevoli del modo in cui si trasmette tra gli esseri umani, gli scienziati stanno semplicemente iniziando a fare ipotesi sulla sua probabile provenienza e sul modo di prevenirlo.
Ebola è un virus mostruoso, un nemico malvagio travestito da particella vermiforme. Il peggio è che Ebola non è l’unico nemico. C’è un’intera famiglia di cinque membri, con qualche lontano cugino a fare una capatina, come il virus Marburg.
State attenti alla famiglia che si trasferisce nel vostro quartiere che porta il cognome “Filoviridae“. Tuttavia, a meno che tu non viva in Africa centrale o occidentale, probabilmente non avrai a che fare con i filovirus. Ecco da dove hanno origine questi quattro tipi di Ebola. Ci sono i ceppi Zaire e Sudan, che sono i più mortali per gli esseri umani, oltre che alle varietà Bundibugyo e Foresta di Tai, che sono comparsi solo alcune volte.
Il quinto tipo, Reston, è unica varietà non africana poiché ha avuto origine nelle Filippine e, per quanto ne sappiamo, non è mortale per gli esseri umani.
Come tutte le famiglie, i membri della famiglia dei Filoviridae si assomigliano tra loro. Stessi occhi, stessi capelli rossi… Beh, non proprio. In questo caso parliamo di qualcosa che è lungo tanto quanto lo spessore di un capello umano. La forma vermiforme del filovirus è spesso descritta come “a uncino”, come il bastone di un pastore.
Tutti loro prendono il materiale genetico dall’RNA invece che dal DNA come noi. E le informazioni genetiche non sono così complicate. Se gli esseri umani hanno 3 miliardi di coppie di base nel loro DNA, le molecole che costituiscono l’RNA di un filovirus ne contano solamente sui 19,000.
Ovviamente la più grande somiglianza tra i filovirus è che tutti uccidono le loro vittime in un modo molto simile.
Questo virus di bassa diffusione è un cugino stretto dell’Ebola. È stato il primo filovirus a essere stato scoperto e può essere altrettanto mortale. Se si ritiene che Marburg abbia avuto origine in Africa, esso ha ucciso esseri umani in Europa e anche in Africa. Il virus è stato scoperto per la prima volta nel 1967, quando 37 persone furono contagiate in Germania da un carico di scimmie verdi africane inviato in un laboratorio per la ricerca sulla poliomielite.
Con sintomi simili all’Ebola e un tasso di mortalità del 25%, questo virus non è da sottovalutare.
Ogni ceppo del virus Ebola funziona in modo molto simile. Infatti, essi agiscono seguendo il comportamento standard dei virus, fermandosi in qualche tipo di serbatoio naturale o in un ospite e aspettando l’arrivo di una cellula vulnerabile per infettarla. E se gli scienziati non conoscono tutti i dettagli sul modo in cui l’Ebola agisce nel corpo, essi hanno raccolto una serie di fatti.
Proprio come gli altri virus, una volta che l’Ebola infetta le nostre cellule, procede al rilascio di un gruppo di diversi tipi di sostanze chimiche che provocano i terribili sintomi legati alla malattia.
Visto che ne sappiamo di più sul modo in cui l’Ebola agisce nei nostri corpi, possiamo cominciare a sviluppare una cura per la malattia e i vaccini. Ma questo è più facile a dirsi che a farsi. Voglio dire… vorresti fare delle ricerche su questa malatti? I rischi di lavorare con questo virus rendono la maggiore conoscenza dello stesso piuttosto impegnativa. Gli scienziati devono essere ben protetti e lavorare in laboratori con livello di biosicurezza 4.
Ma nonostante ciò essi mettono comunque a rischio la loro vita per approfondire la conoscenza dell’Ebola. Anche rintracciare il virus può risultare impegnativo. A meno che non si verifichi un’epidemia, gli scienziati non sanno davvero come trovare Ebola. Dove sia quando non semina il caos resta ancora un mistero. Vi forniremo le nostre ipotesi migliori successivamente.
Visto che abbiamo bisogno di conoscere le malattie come l’Ebola, è stato preparato per gli scienziati un sistema che studi gli organismi che provocano le malattie.
Gli organismi sono tutti classificati secondo uno dei 4 livelli di sicurezza biologica (BSL). Il meno minaccioso dei quattro viene assegnato a degli agenti che provocano la malattia mortale e che possono trasmettersi per via aerea. Come avrete capito, Ebola è incluso nell’agente biologico del gruppo 4. Per consentire agli scienziati di trattare questo virus, devono lavorare indossando delle tute spaziali con respiratori e vengono decontaminati prima di entrare e uscire dai laboratori BSL 4.
Solo una dozzina circa di questi laboratori esistono attualmente negli Stati Uniti.
Se avete visto il film “Virus letale” probabilmente associate i virus come l’Ebola a perdite di sangue abbondanti dagli orifizi del corpo. Se ciò non è del tutto errato, in generale i veri sintomi dell’Ebola non sono così macabri.
Quando Ebola entra nell’organismo, rimane apparentemente inoffensivo per 2-21 giorni (in genere 4-10) fino a quando i sintomi non iniziano a manifestarsi. Prima vengono febbre, brividi, mal di testa, dolori ai muscoli e alle articolazioni e stanchezza. A questo punto, a meno che non si verifichi un’epidemia conosciuta, la malattia può essere spesso confusa con altri tipi di patologie. E dato che il luogo più soggetto a infezioni è l’Africa, la malaria è spesso la prima malattia che gli operatori sanitari diagnosticano.
Poi però la malattia volge in poco tempo al peggio. I pazienti cominciano a soffrire di diarrea con sangue, forte mal di gola, itterizia, vomito e perdita dell’appetito. Quando si sintomi si manifestano per cinque giorni, la metà circa delle vittime svilupperà eruzioni cutanee al tronco e alle spalle. E dopo questo la situazione diventa davvero critica.
Se la perdita abbondante di sangue è in realtà rara, una delle caratteristiche principali di questa infezione è lo sviluppo di emorragie nei pazienti. Il loro sangue comincia ad addensarsi in tutto il loro corpo. Questo presto esaurisce la richiesta delle proteine che gestiscono la coagulazione. Ciò quindi significa che, se si verificasse una lesione dei tessuti nelle altre parti del corpo, tali proteine non sono a disposizione per svolgere il loro compito. Il risultato sono perdite incontrollate di sangue. In realtà questo capita solo al 50% circa dei pazienti. La perdita incontrollata di sangue è soprattutto interna, nel tratto gastrointestinale. Tale fatto perciò è piuttosto raro mentre le perdite abbondanti di sangue possono verificarsi in altre parti del corpo.
Questo trauma molto rapidamente corrisponde a una fine tragica per i pazienti. Nei casi di morte, essa sopraggiunge 6-16 giorni dopo la comparsa dei sintomi. In genere la morte non è il risultato dell’emorragia ma del collasso multiplo degli organi o dello shock.
Ebola agisce velocemente ma causa un dolore e una sofferenza enorme nelle sue vittime in quel periodo. Dato che le possibilità di cura spesso non sono a disposizione nelle zone dell’epidemia (ne sapremo di più in seguito), la cosa più sicura da fare è stare alla larga dal virus. Continuate a leggere per sapere come è cominciato e come si è diffuso.
Se Ebola è la più conosciuta e la più mortale delle febbri emorraggiche, non è affatto la più diffusa. Esiste un piccolo gruppo, che comprende alcune malattie molto conosciute come la Dengue e la febbre gialla. Queste febbri emorragiche si trovano soprattutto in Africa e in Sud America. Si è scoperto che i portatori dei virus sono le zecche, le zanzare e i roditori. I tassi di mortalità variano da un tasso di appena l’1% (febbre della Rift Valley) fino al 70% (febbre emorragica Congo-Crimea).
L’Ebola comparve per la prima volta nel 1977, apparve un paio di volte nei tre anni seguenti e poi scomparve praticamente nel nulla per i successivi quindici anni. Tuttavia non era possibile che il virus fosse realmente scomparso. Doveva essere nascosto da qualche parte. Dove si nascondesse all’epoca e dove continui a nascondersi tra i focolai resta un mistero.
Questo è quello che sappiamo. L’Ebola è una tipica malattia zoonotica, cioè si manifesta negli animali ma può essere trasmessa all’uomo. Questo perciò significa che una probabile dimora, o serbatoio naturale, dell’Ebola potrebbe essere un animale che diventa la fonte di trasmissione diretta. Ma qui viene il difficile – visto che l’Ebola resta inattiva per lunghi periodi, gli animali che contraggono la malattia, come i primati, probabilmente non sono i serbatoi naturali.
Se una scimmia fosse il serbatoio naturale, significherebbe che il virus sarebbe in grado di rimanere vitale nella scimmia per lunghi periodi di tempo senza farla ammalare. Inoltre sappiamo che le scimmie sono estremamente sensibili alla malattia, perciò gli scienziati hanno dovuto cercare altrove, in animali come zanzare, pipistrelli e uccelli. Hanno analizzato perfino le piante.
Quindi perché è stato così difficile trovare la specie che funge da serbatoio naturale? Be’, visto che il virus si nasconde per lunghi periodi, c’è una buona possibilità che il propagatore principale dell’Ebola sia una specie rara e difficile da trovare. Allora gli scienziati hanno cercato e cercato, hanno infettato un sacco di animali e hanno verificato se erano sopravvissuti oppure hanno cercato un antidoto per contrastare l’Ebola. È stata una ricerca durata dieci anni e non si è ancora riusciti a individuare lo specifico serbatoio naturale.
Esami recenti hanno fatto riferimento ai pipistrelli della frutta come i più probabili portatori della malattia, tuttavia gli scienziati non sono ancora certi del modo in cui il virus si trasmette dai pipistrelli agli esseri umani e ai primati non umani. Sappiamo solo che alcuni di questi pipistrelli africani conservano il virus replicandolo nei loro corpi senza infettarsi e che i pipistrelli sono stati collegati ai casi indice conosciuti (il primo umano infettato durante un’ondata) nelle precedenti ondate di epidemia.
Nonostante i numerosi timori sull’Ebola, poche persone in realtà sono morte a causa della malattia rispetto ad altre patologie conosciute. Dal 1976, nelle 25 ondate di epidemia che si sono verificate, sono stati riportati circa 16,000 casi di persone affette da Ebola. Circa 6,500 di essi si sono conclusi con la morte. Più dell’80% dei casi di Ebola riportati si riferiscono all’epidemia del 2014 in Africa occidentale.
Come abbiamo detto, l’Ebola in realtà è costituita da cinque tipi di virus. I due virus più mortali per l’uomo sono i tipi Zaire e Sudan. Questi presentano il tasso di mortalità più alto: 60-90% per Zaire e 40-70% per Sudan. Ma sono anche i virus comparsi più di frequente durante le note epidemie che si sono verificate. Dopo la comparsa iniziale di entrambi i ceppi nel 1976, i virus si nascosero per qualche tempo. Ma, quando tutti i ceppi dell’Ebola riapparvero, essi tornarono alla riscossa. Dalla metà degli anni ’90, i virus Zaire e Sudan hanno devastato l’Africa a pochi intervalli di anni. La maggior parte delle ondate si è concentrata nella parte centrale dell’Africa più vicina all’equatore. I Paesi più colpiti sono la Repubblica Democratica del Congo, il Gabon e l’Uganda.
Nel marzo 2014 la prima ondata di epidemia del virus Ebola Zaire è stata osservata al di fuori di questa zona. L’epidemia è cominciata in Guinea, un paese dell’Africa occidentale. Si è poi diffusa velocemente nei paesi circostanti (Liberia, Sierra Leone, Mali, Senegal e Nigeria). Addirittura, oltrepassò perfino l’Africa per dirigersi negli Stati Uniti e in Spagna. Gli scienziati ipotizzano che, se il virus fosse legato ai pipistrelli. I cambiamenti climatici potrebbero modificare le loro rotte migratorie, spingendoli a diffondere l’Ebola oltre il suo punto di origine nel centro Africa.
Altri due ceppi africani dell’Ebola, i virus Costa d’Avorio e Bundibugyo, sono stati osservati solo tre volte con tassi di mortalità piuttosto bassi. E infine, il quinto membro della famiglia, il tipo Reston, sembra essere il più mortale per i primati non umani. Anche questo ceppo specifico si è diretto negli USA (il suo nome viene da un’area periferica piuttosto addomesticata di Washington) nel 1989, quando scoppiò un’epidemia di Ebola da un ente di ricerca principale. I laboratori furono scrupolosamente visitati per rilevare sintomi e segni del virus. Per fortuna, tale ceppo è risultato essere una tipo di virus che non colpisce gli esseri umani.
Visto che non sappiamo esattamente dove sia principalmente l’Ebola, è difficile studiarlo. Non si sa come la prima persona vera e propria dell’epidemia (caso indice) è stata infettata.
Nelle ondate di epidemia precedenti, i casi indice erano generalmente sconosciuti ma alcuni sono stati identificati visto che sono stati nei luoghi in cui erano presenti i pipistrelli, oppure si è saputo che le vittime hanno interagito con animali morti.
A parte l’incognita riguardante il modo in cui la prima persona è stata contagiata, sappiamo come il virus si è trasmesso altrove. La trasmissione da umano a umano si verifica dal risultato di un contatto prossimo con sangue, secrezioni o tessuti dei pazienti. Il virus può passare a una nuova vittima attraverso le mucose o i tagli nell’epidermide. E i rituali di sepoltura africani nominati in precedenza, dove le famiglie lavano i corpi dei defunti? Sì, è una cattiva idea quando un tuo parente è morto per Ebola. Siamo anche a conoscenza dei casi di contatto tra umano e animale che hanno portato all’infezione. Per quanto ne sappiamo questi animali a noi noti sono i gorilla, le scimmie e un tipo di antilopi di nome cefalofini. Perciò evitate di consumare pasti o di fare autopsie a questi animali.
Per fortuna non conosciamo casi in cui il virus passa agli umani attraverso l’aerosol – o l’aria. Nell’epidemia di Ebola negli USA che ha colpito le scimmie, il virus Reston Ebola è stato in grado di passare attraverso l’aria per infettare la maggior parte delle scimmie dell’ente di ricerca. Uno studio del 2012, attraverso l’uso del ceppo Zaire sui maiali e sulle scimmie, ha dimostrato anche la trasmissione della malattia senza il contatto diretto, ma per quando ne sappiamo questo metodo di trasmissione aerea non è collegato agli esseri umani.
Uno dei metodi più comuni di trasmissione da tenere sotto osservazione è il passaggio del virus attraverso aghi sporchi. Il riutilizzo degli aghi nelle strutture sanitarie ha avuto un impatto massiccio sui numeri di persone contagiate nelle epidemie precedenti. Tuttavia, con la conoscenza di ciò come via di diffusione del virus, gli operatori sanitari possono prendere ulteriori precauzioni per far sì che gli aghi usati non vengano impiegati.
A seconda del modo di trasmissione del virus, l’esito della modalità di contagio del paziente tramite Ebola può variare. Per esempio, i periodi di incubazione per l’Ebola di tipo Zaire è di 3-6 giorni per un paziente che è stato punto da un ago, che si contrappone ai 5-9 giorni per un paziente che è stato esposto al contatto. E nella prima nota epidemia del 1976, il 100% dei pazienti infettati tramite puntura dell’ago morì a causa della malattia. Invece per l’80% dei casi per contatto la malattia fu fatale.
Autunno 1989. Un carico di 100 esemplari selvaggi di “macaca fascicularis” proveniente dalle Filippine giunge ad un impianto di quarantena per animali di Reston, Virginia, appartenente alla Hazelton Research Products. Nei tre mesi successivi, un terzo delle scimmie morì. Gli scienziati pensavano che fosse nuovo ceppo dell’Ebola. Per contenere l’epidemia, applicarono l’eutanasia a tutti gli animali. A gennaio un nuovo carico di scimmie portò a risultati simili ma questa volta diverse persone furono esposte al virus. Tra queste, anche un tecnico che si era accidentalmente ferito con uno scalpello insanguinato. In base all’analisi delle persone contagiate, gli scienziati compresero che, sebbene fossero state esposte, queste ultime sviluppavano facilmente anticorpi per contrastare il virus. Questo ceppo di Ebola era quindi il primo filovirus conosciuto a non causare alcun sintomo nell’uomo.
Mentre altri casi sono stati segnalati altrove, le forme più pericolose di Ebola sono principalmente collocate nell’Africa centrale e occidentale. Perciò sarai al sicuro se non ti avventurerai molto spesso in queste zone del mondo. Se lo dovessi fare, i modi migliori per proteggerti dal virus sono :
Queste due linee guida dovrebbero aiutarti a non diventare il paziente zero di un’epidemia. E cerca di non essere neppure l’ultima vittima di un’epidemia. Non entrare a diretto contatto con chiunque manifesti sintomi della malattia, visto che il virus è trasmissibile attraverso il contatto con i fluidi corporei. Ciò implica la necessità di usare misure di protezione nelle situazioni sanitarie (come i guanti e gli occhiali protettivi). Attenzione a non riutilizzare mai aghi sporchi e non partecipare alle cerimonie di sepoltura delle vittime di Ebola.
Oltre a queste misure di protezione, non c’è altro che si possa fare per evitare Ebola.
Si è osservato che nelle scimmie antropomorfe un livello elevato di ipersensibilità e quindi di mortalità per via dell’Ebola alla fine della stagione delle piogge e all’inizio della stagione secca. Si è pensato che i cambiamenti di stagione causassero tensioni nelle popolazioni animali. Gli animali entrano a stretto contatto per la ricerca di cibo e questo li rende più aggressivi. Quindi il rifugio dell’Ebola è un animale, il periodo di cambio delle stagioni non è il momento migliore per organizzare un safari in Africa, soprattutto se il safari comprende la caccia vicino alle grotte.
Individuare l’Ebola può risultare un po’ difficile prima che si sappia che un’epidemia ha avuto inizio. I primi sintomi vengono spesso confusi con quelli di altre patologie. Quando la malattia viene riconosciuta come Ebola può essere troppo tardi per intervenire. I test più accurati per l’Ebola sono quelli che utilizzano attrezzature speciali difficili da recuperare in località remote dove il virus è più diffuso. Questi test, come il test ELISA (saggio immuno-assorbente legato ad un enzima) individuano gli anticorpi per il virus Ebola invece di individuarli direttamente nel virus stesso.
A parte le difficoltà nel portare l’attrezzatura per il test nei remoti villaggi africani, questi test sono problematici. Infatti l’elemento fondamentale dei filovirus è l’indebolimento dei sistemi immunitari. Perciò, anche se una persona ha contratto l’Ebola, il virus potrebbe aver indebolito a sufficienza il sistema immunitario da far sì che esso non sia in grado di produrre anticorpi per contrastarlo.
Un altro test efficace è il PCR, o reazione a catena della polimerasi. Questo test identifica direttamente il virus, il che è un vantaggio. Tuttavia, tale test non solo è difficile da mettere in campo ma è anche estremamente sensibile alla contaminazione. E naturalmente il centro di un’epidemia non è la zona meno esente da contaminazioni.
A questo punto, però, anche se un paziente viene riconosciuto come affetto da Ebola, non c’è proprio molto che si può fare. L’unica mossa possibile sono gli interventi basilari (liquidi endovena, controllare il livello di ossigeno e la pressione sanguigna e trattare le altre infezioni, se si presentano). Con questo genere di cura è risaputo che i pazienti guariscono dal virus. Alcuni tentativi di terapia sperimentale, come il farmaco ZMapp, sono stati sviluppati. Tuttavia questi prodotti sono ancora in fase sperimentale e non sono ancora stati approvati per la loro sicurezza ed efficacia dalla statunitense U.S. Food and Drug Administration. La cosa migliore da fare una volta saputo che il virus Ebola è in circolazione in una zona è educare gli operatori sanitari e i membri della comunità coinvolti nell’epidemia a contenere il più possibile la trasmissione.
Questo perciò può portarti a chiedere: perché aspettare fino all’epidemia per fare qualcosa e combattere Ebola? Non ci si può vaccinare? Bella domanda! Visto che il numero delle vittime è risultato molto basso (rispetto alle altre patologie) e le ondate di epidemia tendono a verificarsi nelle zone remote del mondo, dove è difficile somministrare i vaccini, non c’è stato il supporto sufficiente delle industrie per crearne uno.
Tuttavia, la diffusione dell’epidemia al di fuori dell’Africa nel 2014 sta cambiando atteggiamento sulla necessità di un vaccino. Questo, insieme alla minaccia della situazione delle grandi scimmie e al timore che Ebola possa essere usato come atto di bioterrorismo ha spinto gli scienziati al lavoro. Finora gli scienziati hanno scoperto un vaccino che protegge le scimmie dallo spietato virus. Ma non si è ancora passati a un vaccino per gli esseri umani. Scoperte promettenti suggeriscono che si può produrre un vaccino adeguato per gli esseri umani. Le prime fasi di sperimentazione umana sono in corso.