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Le impronte digitali ci seguono per tutta la nostra vita.
Sono il risultato di creste e solchi presenti sull’ultima falange delle nostre dita. In passato venivano utilizzate come firma, e ancora oggi rappresentano un fattore di riconoscibilità, in quanto unica caratteristica del nostro corpo che non cambia nel tempo. Ogni loro parte ci distingue come individui tra miliardi di altri esseri umani, o almeno così ci è stato insegnato.
Persino i gemelli omozigoti hanno impronte digitali diverse. Una delle sorelle Olsen non potrebbe lasciare quelle dell’altra su una scena del crimine, perché tutte quelle linee, quelle spirali e quegli archi si sono formati nel grembo materno dalla pressione della pelle che si sviluppa.
L’epidermide e i tessuti sottocutanei incastrano tra di loro lo strato di cellule dermatiche, come due fette di pane fanno con il formaggio. Quando la pressione cresce, il “formaggio” si comprime ed emerge in maniera casuale in superficie. Le impronte si formano in modo definitivo nel feto durante l’ottavo mese di gravidanza.
Il disegno superficiale della pelle si forma in seguito ad un processo che varia in base allo spessore delle fibre connettive.
Le caratteristiche generali si formano con la formazione della pelle dei polpastrelli e in base alla posizione del feto, che può cambiare nel corso di questo processo.
Le caratteristiche delle nostre impronte digitali non cambiano nel corso della nostra vita. Non potrebbero nemmeno essere modificate chirurgicamente o alterate da tagli. In questo caso infatti i nostri polpastrelli si rigenerano allo stesso modo. Perciò le impronte digitali vengono utilizzate per l’identificazione.
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In effetti, le possibilità che due persone abbiano le stesse impronte digitali sono bassissime, ma non nulle. Secondo l’eclettico Sir Francis Galton, le probabilità sono una su 64 miliardi.
Secondo l’esperto, il professor Edward Imwinkelried, poiché la popolazione mondiale al momento eccede i 6,4 miliardi e ognuno di noi possiede 10 dita, ci sono più di 64 miliardi di impronte, il che fa aumentare le possibilità che ne “condividiamo” una con uno sconosciuto.
Questo è uno dei motivi per cui è importante utilizzare più impronte per l’identificazione. Le probabilità che due persone abbiano in comune tre impronte digitali sono di una su 10 biliardi, afferma Imwinkelried. E questo è il motivo per cui lui e altri esperti spingono per una riforma e sul fare affidamento maggiormente al DNA.
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Secondo lo statistico Stephen M. Stigler, il fatto che nel ventesimo secolo ci si affidasse alle impronte digitali ha più a che vedere con i drammi legali e la fortuna che non con la scienza. Non è assolutamente un metodo perfetto. Dal 1995, i dati dei laboratori sulle impronte digitali hanno mostrato che la possibilità di errore oscilla tra il 3 e il 20%.
Secondo una ricerca condotta dagli esperti di scienza forense dell’Associazione Americana per l’avanzamento delle Scienze, non esistono sufficienti prove scientifiche sull’unicità delle impronte digitali.
Inoltre non si hanno a disposizione dati sufficienti per conoscere in quanti casi più persone potrebbero avere impronte simili. Ciò fa crollare la certezza dell’identificazione tramite impronte digitali.
Le impronte digitali sono più di uno strumento identificativo e un caso biologico. Se state pensando di bruciare con l’acido le vostre impronte per evitare l’arresto (chi non l’ha mai fatto?), pensateci due volte, perché esse ci permettono anche di sentire le trame sottili e gli oggetti minuscoli.
Quando sentite qualcosa di particolarmente sottile, come un capello umano su una scrivania, il vostro senso del tatto dipende dalle vibrazioni della pelle che si manifestano quando le impronte digitali si muovono sulla scrivania. Nel 2009, un team di studiosi francesi ha analizzato questo fenomeno e ha scoperto che la punta di un dito che si muove su una superficie produce delle vibrazioni che sono rilevate da terminazioni nervose chiamate corpuscoli di Pacini.
Queste terminazioni nervose passano le informazioni ai neuroni sensoriali, che mandano il segnale al cervello. Se bruciate le impronte potrete evitare la galera, ma non potrete più apprezzare e sentire le cose più sottili.
C’è anche un’altra questione. Le impronte digitali ci aiutano ad afferrare gli oggetti, come un bicchiere di latte o un’ascia da battaglia? L’idea è che le scanalature migliorino la frizione tra le dita e l’oggetto che stiamo mantenendo.
Ma un gruppo di ricercatori dell’università di Manchester ci assicura che sono un mucchio di frottole.
Uno studio pubblicato nel 2009 sul Journal of Experimental Biology, il team di Manchester ha misurato la frizione tra carne e oggetto e ha determinato un incremento marginale. Hanno scoperto anche che, sul vetro acrilico, i polpastrelli con le impronte fanno contatto il 33% in meno di quelli senza. Quindi in alcuni casi riducono la nostra presa piuttosto che aumentarla.
Uno dei leader della ricerca, Dr. Roland Ennos, ha suggerito che le nostre impronte potrebbero però essere d’aiuto nell’afferrare oggetti ruvidi, o potrebbero far distendere la pelle più facilmente, rendendola meno soggetta alle ferite.
Quindi, ecco perché abbiamo le impronte digitali. Ora intingetele nell’inchiostro, nel budino o nella polvere delle Fonzies e condividetele con il mondo.