Sempre più spesso siamo bombardati da ricette e consigli di benessere che nominano il Kamut come la migliore alternativa al grano duro.
Ma cosa è veramente questo cereale? Da dove arriva? E, soprattutto, è davvero così salutare come dicono?
Cominciamo col dire che “Kamut” è il nome commerciale – derivante dall’omonimo geroglifico egizio che significa “grano” – dato ai prodotti derivanti dal cereale di tipo Khorasan, un antico grano già conosciuto ed utilizzato nell’Antico Egitto e nelle zone dei fiumi Tigri ed Eufrate. Il tipo di granaglia commercializzata oggi deriva dal chicco originale, ritrovato – si dice – intatto in una tomba egizia negli anni ’50, che non è stato oggetto di ibridazioni o modifiche genetiche, e viene coltivato in modo biologico in campi ricchi di minerali utili.
Il Kamut ha molte caratteristiche che lo rendono un tipo di cereale molto versatile, anche se, diversamente da quanto millantato in molti siti, in quanto “antenato” del grano moderno, contiene naturalmente glutine, e non è quindi adatto a chi soffre di celiachia, sebbene alcuni test sembrino dimostrare che i prodotti a base di Kamut siano ben tollerati da soggetti sensibili al glutine.
Questo cereale è in grado di garantire un buon apporto di sali minerali, tra cui vitamine, selenio, proteine, magnesio, Omega 6 e vitamina E in grande quantità, favorendo anche effetti antiossidanti.
Avendo poi un indice glicemico di 45 punti, contro gli 85 punti del grano tradizionale, è consigliato nell’alimentazione dei soggetti affetti da diabete, o che necessitino di tenere sotto controllo il valore della glicemia.
L’alto contenuto di fibre e le proprietà naturali disinfiammanti ne fanno un grande alleato nei casi di gonfiore addominale e colon irritabile, mentre chi ha problemi di colesterolo potrà tranquillamente utilizzare prodotti a base di Kamut in quanto non ne contiene naturalmente.
Grazie alla alta digeribilità – dovuta probabilmente al fatto di essere un cereale che non ha mai subito modificazioni genetiche e che viene coltivato senza uso di fertilizzanti chimici o pesticidi – al suo alto contenuto di proteine ed al basso contenuto calorico, il Kamut si candida per il posto di alleato nei regimi di controllo alimentare.
Ha un sapore un po’ più dolce del grano tradizionale, con note al profumo di nocciola, e si presta quindi molto bene all’impiego in prodotti di pasticceria quali torte, biscotti, brioche, ma anche nella produzione di pane, grissini, cracker o pasta sfoglia.
Il suo gusto speciale è tale da impreziosire anche le preparazioni dei vari formati di pasta e di gnocchi, generalmente addizionato con un po’ di farina “00”.
I grossi chicchi – dalle dimensioni triple rispetto al grano duro, con forma a gobba, allungati e traslucidi – sono ideali per la preparazione di fiocchi da gustare a colazione. Il chicco intero, poi, è facilmente sostituibile ai vari farro, quinoa, orzo nella preparazione di zuppe ed insalate estive.
Il Kamut sembra quindi essere un prodotto d’oro, con un’infinità di pregi, ma presenta in realtà anche un piccolo difetto. “Kamut” è un marchio registrato da un’azienda americana, che ha l’esclusiva della produzione per questo cereale, produzione che ha luogo solo nei campi coltivati nelle praterie del Nord America, dove il clima è secco e più simile a quello in cui in origine questo grano antico veniva coltivato, in Mesopotamia.
Ciò comporta che la vendita e la distribuzione di questo prodotto comportino lunghi viaggi attraverso l’oceano con trasporti tramite nave od aereo, con conseguente aggravio sul costo di vendita al pubblico; una confezione di pasta di Kamut, ad esempio, costa circa il doppio di una equivalente prodotta con grano duro. Tale discrepanza porta facilmente a disdegnare l’acquisto del prodotto più costoso, sebbene più salutare, a favore dell’usuale confezione, spesso proposta in offerta dalle varie catene di supermercati, a favore del bilancio familiare.
Una soluzione a km zero potrebbe arrivare dalla coltivazione italiana di un cereale appartenente alla stessa famiglia, conosciuto con il nome di “Grano Saragolla” e prodotto in varie zone di Abruzzo, Basilicata e Campania.
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