(Adnkronos) – In principio la speranza si era accesa per Carola, studentessa di Fiumicino.
Affetta dalla rarissima malattia di Lafora, che la stava 'spegnendo' lentamente a livello fisico e cognitivo, nel 2022 all'età di 17 anni ha potuto accedere a un tentativo di terapia, strada sbloccata dall'intervento della Regione Lazio. "Sono trascorsi due anni e Carola non ha saltato un'infusione. Puntuale ogni due venerdì va nella sala Dh di neurologia, stanza 5, dell'ospedale Bambino Gesù di Roma dove viene accolta da personale professionale, medici ed infermieri che hanno iniziato a sperare con lei e lottare al suo fianco.
Le sue condizioni ad oggi sono buone e io continuo a combattere", racconta Simona, la sua mamma. A circa 600 chilometri di distanza da loro, in Lombardia, vive Andrea, 20 anni. La diagnosi di Lafora l'ha avuta nel 2020, aveva 16 anni. Dalla prima crisi che ha acceso il campanello d'allarme ci sono voluti quasi 2 anni, tappe in diversi ospedali e tanti approfondimenti per arrivare a dare un nome alla malattia.
Anche a lui viene prospettata la chance del farmaco Myozyme*, terapia enzimatica sostitutiva targata Sanofi già in uso per un'altra patologia, la malattia di Pompe, ma l'epilogo è diverso. Ad Andrea il farmaco non potrà essere somministrato, perché in Lombardia le strutture preposte si sono espresse negativamente. Per lui la strada è sbarrata. E i genitori Stefano e Daniela lanciano un appello affinché si trovi una soluzione, un modo per garantire questa che al momento è l'unica opzione possibile per il ragazzo, dopo che anche l'ultima speranza di entrare in un trial in cantiere a Dallas per una terapia sperimentale americana (della Ionis Pharmaceuticals), 'agognata' dai pazienti Lafora di tutto il mondo, è sfumata per questioni d'età, racconta papà Stefano Mariani all'Adnkronos Salute.
"Nostro figlio è uno dei pochi pazienti che a 20 anni riesce ancora a camminare e parlare, ma per quanto?", si chiede.
Corsa contro il tempo e vicoli ciechi – Le lancette della malattia girano inesorabili. La Lafora non si ferma, crisi dopo crisi scombina i movimenti, indebolisce, deteriora le capacità cognitive. All'origine c'è un'alterazione genetica che fa sì che si accumulino zuccheri in particolare a livello cerebrale, in assenza delle proteine che dovrebbero sintetizzarli, coinvolte nel metabolismo del glicogeno.
La prospettiva di vita per questi ragazzi è di pochi anni, in media 5-10 dall'esordio dei disturbi tangibili. E poi ci sono i vicoli ciechi che Andrea e la sua famiglia conoscono bene. "Dopo la diagnosi nel 2020 approdiamo all'ospedale Bellaria di Bologna che diventa il nostro riferimento", ripercorre Mariani. E' un centro ultra specializzato nella patologia al quale arrivano la quasi totalità dei pazienti. Il ragazzo entra "nello studio della storia naturale della malattia".
All'orizzonte c'è la terapia sperimentale della Ionis, il cui percorso arranca e dopo la pandemia di Covid subirà uno stop pensante. "Andrea – racconta il papà – ha sopportato tutto, anche esami difficili e invasivi, come la rachicentesi, in onore di quello che poteva essere lo sviluppo di questo farmaco, ma ci hanno lasciato così". Il 20enne era nel trial anche di un altro possibile farmaco (Val-1221), ma "pure quello studio è finito nel nulla" per ragioni a quanto pare "economiche".
Di nuovo tagliato fuori. "E intanto il tempo passa", dice amareggiato il papà. E nell'ultimo anno in particolare ci sono stati dei peggioramenti. Il ragazzo è riuscito a diplomarsi con molta fatica all'istituto agrario a luglio scorso, "poi è diventato più evidente il declino cognitivo", osserva Mariani. Ed è difficile, perché "lui si rende conto di quello che gli sta succedendo", tanto che viene seguito anche da psicologi per "gestire la rabbia immensa per questo suo stato.
Ha giocato a tennis fino a 4 mesi fa e ora non riesce più, a scacchi era molto bravo e ora non può più". Anche per i genitori è un dolore assistere impotenti a questa parabola.
Destini divisi da una residenza diversa – A ottobre-novembre scorso, la dottoressa del Besta che segue Andrea prospetta a lui e a un altro ragazzo la possibilità di tentare la terapia con Myozime, chiede la documentazione degli altri pazienti in trattamento, usata per avviare il percorso nelle altre regioni, la presenta all'Istituto Mario Negri di Bergamo, dove ha sede il coordinamento della rete malattie rare.
"Ma la responsabile blocca tutto, spiegando che non ci sono ancora evidenze scientifiche del fatto che il farmaco funzioni e che la Regione non può rimborsare un trattamento così costoso senza questi dati a supporto", spiega Mariani. La raccolta dei dati scientifici è in corso, diversi specialisti ci stanno lavorando, ma non ci sono ancora le pubblicazioni che ufficializzino i risultati. E' stato dimostrato che il farmaco supera la barriera ematoencefalica (passaggio fondamentale perché possa esercitare una qualche azione), come spiega la mamma della prima paziente Lafora trattata, Carola, il cui caso verrà discusso in un convegno europeo sull'epilessia.
E si attendono ulteriori evidenze. La dottoressa di Andrea intanto prova a presentare ulteriore documentazione. Ma la domanda viene nuovamente bocciata. Si muove anche l'Associazione italiana Lafora Aila. "A un certo punto l'Unità organizzativa farmaceutica della Regione Lombardia ha anche prospettato che se il Besta si fosse preso la responsabilità della somministrazione si sarebbe potuto fare, ma il Comitato etico si è espresso negativamente. Le abbiamo provate tutte per superare questi ostacoli, non è servito a niente – dice Mariani – Ma da genitori non possiamo stare con le mani in mano.
Andrea è arrivato a stare male anche 35 volte in un anno tra attacchi epilettici e assenze e la situazione andrà a peggiorare". "Io mi chiedo: ora che alcuni dati scientifici in attesa di pubblicazione sono stati resi noti, è possibile avere il Myozime? Perché far morire Andrea quando c'è la possibilità di tirare un po' in là sapendo che questo tentativo di terapia su Carola e altri pazienti sembra funzionare. Perché in altre regioni questo è stato possibile e in Lombardia no? Abbiamo addirittura pensato di trasferire la residenza, ma ci sembra assurdo – conclude – Chiedo 3-4 mesi di trattamento per provare a contenere la corsa della malattia, finché magari non si apre la via della terapia mirata di Ionis (che ora ha il trial in partenza) qualora si dimostri che funziona.
Mi sembra ingiusto non provare a salvare questi ragazzi. Ci rendiamo conto delle necessarie valutazioni su costi e benefici, ma dietro questi numeri c'è la vita di un figlio". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)