(Adnkronos) – “Negli ultimi anni abbiamo registrato un aumento dei casi di colangiocarcinoma, in parte sia per un aumento della capacità diagnostiche che per un incremento di steatosi epatiche”.
Lo ha detto Andrea Casadei Gardini, oncologo dell’Unità operativa di Oncologia medica dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e professore associato di Oncologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, in occasione del media tutorial realizzato con Servier sulla frontiera più avanzata dell’oncologia di precisione, che si è tenuto questa mattina a Roma. “Il colangiocarcinoma è un tipo di tumore primitivo del fegato, che fa registrare ogni anno circa 5.400 nuove diagnosi in Italia – spiega l’esperto – Si distingue in base alla sede d’insorgenza in intraepatico, se si sviluppa all’interno del fegato, ed extraepatico e della colecisti, se nasce dalle vie biliari extraepatiche.
Ad oggi – continua – non vi sono metodi per la diagnosi precoce o test di screening di routine, in grado di identificare la malattia in fase iniziale, quando è ancora possibile l’intervento chirurgico. Per questo, il 70% dei pazienti presenta alla diagnosi una malattia già in fase avanzata”. La sopravvivenza a 5 anni è ancora bassa, pari al 17% negli uomini e al 15% nelle donne. "Tuttavia, i recenti progressi nel campo della profilazione molecolare e nel sequenziamento genico – sottolinea Casadei Gardini – hanno evidenziato, anche in questa neoplasia, alterazioni genetiche, che possono rappresentare nuovi target terapeutici.
Il 45% dei pazienti con colangiocarcinoma presenta un’alterazione genetica potenzialmente ‘actionable’, cioè bersaglio di terapie mirate. Le più frequenti nelle forme intraepatiche sono le mutazioni di Idh1, presenti in circa il 20% dei casi, e le traslocazioni di Fgfr2, rilevabili nel 10%". Rilevare la presenza delle mutazioni di Idh1 può fare la differenza sugli esiti della terapia. "I test dovrebbero essere eseguiti in tutti i pazienti fin dall’inizio del percorso di cura, quindi anche nei pazienti candidati alla chirurgia, per l’elevata percentuale di recidive successive all’intervento e perché il fattore tempo svolge un ruolo cruciale nella gestione della patologia”, sottolinea Casadei Gardini.
Studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di terapie mirate in presenza di alterazioni genetiche. In particolare, ivosidenib è il primo inibitore mirato di Idh1 approvato in Europa per i pazienti con colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico con una mutazione (Idh1), precedentemente trattati con almeno una linea di terapia sistemica. “Nello studio Claridhy pubblicato su ‘Jama Oncology’ – conclude Casadei Gardini – la nuova molecola ha evidenziato una riduzione del rischio di progressione di malattia del 63%.
I benefici sono stati confermati anche in uno studio ‘real world’, che riproduce la pratica clinica quotidiana". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)