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Sai cosa sarebbe bello? Se ci fosse un modo per consentire ai sistemi immunitari di identificare le cellule tumorali e di gestirle.
Tutto questo senza che i pazienti malati debbano assumere sostanze chimiche tossiche attraverso la chemioterapia . Oppure debbano sottoporsi a radioterapia per abbattere le cellule tumorali (e quelle sane). Per questo motivo, il campo dell’immunoterapia si è buttato a capofitto nella ricerca sul cancro in questi giorni.
Sono stati fatti molti investimenti nella ricerca sul cancro negli ultimi anni e sembra dare risultati straordinari. Nuove ricerche indicano che siamo vicini ad avere un trattamento vitale di immunoterapia che utilizza cellule immunitarie sane di donatori.
Queste sono mutate con il DNA malato per aiutare il sistema immunitario a combattere il cancro.
I nostri sistemi immunitari hanno difficoltà a combattere le cellule tumorali. In circostanze normali, le nostre cellule immunitarie, chiamate comunemente cellule T, sono istruite per analizzare le proteine sulla superficie di ogni cellula che viene identificata come sana e normale o meno. Quando una cellula T si imbatte in una cellula portatrice di un frammento di proteine estranee, o neo-antigene, la cellula T dovrebbe essere distrutta.
Ma a volte le cellule T del paziente malato hanno difficoltà a riconoscere le proteine delle cellule cancerose come estranee e pericolose e trascurano il pericolo, lasciando attaccare il sistema immunitario.
In altri casi, una serie di “interruzioni” nell’operato del sistema immunitario vieta alle cellule T di legarsi e distruggere le cellule tumorali. La maggior parte delle ricerche in immunoterapia si concentra su come aiutare i nostri sistemi immunitari a individuare e distruggere le cellule tumorali, o come escludere questi “freni”.
I ricercatori del Netherlands Cancer Institute e dell’Università di Oslo studiano come le cellule immunitarie possono essere esternalizzate. Ossia come le cellule T di un’altra persona potrebbero essere migliori a individuare e a segnalare le cellule tumorali rispetto a quelle del paziente. In uno studio, tutti i possibili neo-antigeni sulle cellule del melanoma di tre diversi pazienti affetti sono stati mappati. Dopo sono stati messi a confronto con le cellule T del paziente.
Quando si trovano di fronte a cellule colpite da neoantigeni dalle proprie cellule tumorali, le cellule T del paziente di cancro fanno un errore. Non hanno idea che c’è qualcosa di sbagliato in quelle cellule.
Tuttavia, i ricercatori hanno inseminato le cellule T sane del donatore con un pezzo di DNA mutato dalle cellule tumorali del paziente, puntandole contro le cellule tumorali nel paziente. Il team di ricerca ha scoperto che le cellule T donatori rilevano in modo migliore tutti i possibili neo-antigeni rispetto alle cellule T del paziente.
“La nostra ricerca apre la possibilità di rendere efficaci le specifiche risposte immunitarie al cancro indipendentemente dal sistema immunitario del paziente”, spiega Johanna Olweus, del Netherland Cancer Institute. “Acquisendo la risposta immunitaria da un donatore sano, quella indebolita del paziente si rafforza nei casi in cui è insufficiente”.
Il team di ricerca spera che queste cellule T donate potranno essere in grado di formare il proprio sistema immunitario.
Tutto questo per individuare e distruggere le proprie cellule tumorali.
“Poiché si rivolge a mutazioni specifiche del cancro, l’approccio potrebbe essere rivolto a qualsiasi forma di cancro”, dice Olweus. “E per lo stesso motivo si prevede che abbiano pochi effetti collaterali. Ma occorrerà più lavoro e risorse prima che questo possa essere tradotto in terapia”.
Ma tra 50 anni, diremo ai nostri nipoti: “Quando avevo la tua età, curavamo il cancro con il veleno!”, cioè la chemioterapia e la radioterapia.
Questo li spaventerà, mentre per noi oggi è la normalità.
Insomma, la speranza è che in futuro le cose cambieranno. Prova a immaginarlo: tra qualche anno potrebbe essere possibile vaccinarsi contro il cancro, nello stesso modo in cui ora abbiamo un vaccino per il morbillo o l’influenza. Potremo insegnare alle cellule immunitarie a riconoscere i tumori. Esattamente come oggi insegniamo loro a riconoscere e attaccare virus e batteri Questa sarebbe davvero la svolta nella terapia anti-tumorale.
Essere vaccinati, infatti, ci consentirà di essere protetti per tutta la vita.
Qualcuno starà pensando: ma un vaccino contro il cancro esiste già. Si tratta del vaccino anti HPV, giusto? Non è esatto. Il vaccino anti HPV, infatti, non è tecnicamente un vaccino contro il cancro. Chi lo fa si vaccina contro il Papillomavirus, un virus che attacca le cellule del collo dell’utero. Si tratta del tumore che si cerca quando si fa il Pap test, per intenderci.
Questa infezione può portare a delle lesioni precancerose che poi, col tempo, possono trasformarsi in un tumore. Quindi, è un vaccino antivirale che ha come conseguenza indiretta una protezione contro il cancro.
Attualmente il vaccino anti HPV è consigliato a tutte le ragazze tra gli 11 e i 12 anni, cioè presumibilmente prima che siano sessualmente attive e che quindi siano entrate in contatto col virus. Il vaccino ha un’efficacia altissima, intorno al 98% dei casi.
È indubbiamente un’arma importantissima contro il cancro. Ma non basta. La ricerca oggi sta lavorando per scoprire un vaccino ancora più efficace e preciso. Un vaccino che ha come obiettivo proprio le cellule tumorali.