(Adnkronos) – Il 40,2% degli infermieri italiani ha dichiarato di avere subito aggressioni verbali o fisiche nel 2023.
Un dato in aumento rispetto al 32,3% rilevato nel 2021-2022. E' quanto emerge dal sondaggio condotto su un campione di iscritti all'Albo dalla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), per la rilevazione promossa dall'Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie del ministero della Salute su tutte le categorie di personale sanitario. I numeri – diffusi in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, che dal 2022 si celebra il 12 marzo – appaiono molto più alti rispetto ai casi denunciati all'Inail e a quelli evidenziati dalle Regioni.
Gli infermieri, infatti, spesso non denunciano o non evidenziano i casi di violenza. Come già rilevato dalla Fnopi, chi non l'ha fatto si è comportato così perché, nel 67% dei casi, ha ritenuto che le condizioni dell'assistito e/o del suo accompagnatore fossero causa dell'episodio di violenza; nel 20% era convinto che tanto non avrebbe ricevuto nessuna risposta da parte dell'organizzazione in cui lavora, il 19% riteneva che il rischio è una caratteristica attesa/accettata del lavoro e il 14% non lo ha fatto perché si sente in grado di gestire efficacemente questi episodi, senza doverli riferire.
Il dato rilevante emerso dalla survey sul 2023 – evidenzia la Fnopi in una nota – è il numero delle violenze, verbali o fisiche, che gli infermieri aggrediti hanno dichiarato: la media è di oltre 10-12 ciascuno nel corso di un anno solare, con le dovute differenze legate soprattutto al territorio e al reparto dove il professionista svolge la sua attività. Il 44% ha subito da 4 a 10 aggressioni, il 55% da 11 a 20 e l'1% oltre 20 aggressioni in un anno.
"L'aggressione – afferma Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi – è l'effetto di una serie di cause importanti che affondano le radici in diversi contesti, tra cui i modelli organizzativi e alcune mancate risposte che i cittadini patiscono, anche se non soprattutto, per la ormai cronica carenza di personale, che peggiora una situazione di disagio organizzativo e di stress lavorativo". "I bisogni dei cittadini – osserva – spesso non vengono convogliati verso i luoghi più adeguati. Emergono invece bisogni di ascolto, necessità di presa in carico di situazioni complesse, che sfiorano la sfera socioassistenziale.
Si aspettano quindi una risposta da un servizio, da una struttura, che spesso non è quella corretta. Occorre investire – conclude Mangiacavalli – affinché vi siano servizi territoriali sempre più capillari e conosciuti". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)