(Adnkronos) – Arrivano al pronto soccorso con abrasioni o fratture "incongruenti rispetto alla logica con cui viene descritto l’incidente o la causa del danno.
Sono piccoli che hanno traumi eccessivi rispetto al racconto dell’accaduto. Così si insinua il dubbio del maltrattamento”. In particolare, “per la sindrome dello scuotimento è significativa la presenza di una emorragia retinica. Ma il dubbio va verificato, per questo serve un centro con esperti in grado di fare una diagnosi corretta”. Così Giorgio Perilongo, professore ordinario di Pediatria dell’Università di Padova, direttore della clinica Pediatrica e del dipartimento Salute donna e bambino, racconta all’Adnkronos Salute l’attività del Centro di riferimento regionale per la diagnosi del bambino maltrattato, in occasione della prima giornata di sensibilizzazione e prevenzione della 'Shaken baby syndrome', in programma il 7 aprile, contestualmente alla Giornata internazionale della Salute.
Promossa da Terre des Hommes, insieme a Simeup (Società italiana di medicina di emergenza pediatrica) e con il supporto di Anpas, Fimp e della Rete ospedaliera contro il maltrattamento infantile, l’iniziativa porterà per la prima volta, negli spazi pubblici di 25 città coinvolte nella campagna ‘Nonscuoterlo!’, punti informativi sulla 'sindrome del bambino scosso' e su come prevenirla. Nel centro padovano, che partecipa all'iniziativa, “vediamo tra 1 e 2 casi di scuotimento al mese – continua l'esperto – Circa il 5% della popolazione pediatrica italiana soffre di una forma di maltrattamento fisico o di abuso, trascuratezza o l’esposizione ad agenti tossici.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, intorno al 36% dei piccoli è a rischio di una violenza psicologica, meno del 20% di tipo fisico. Il rischio di abuso sessuale interessa il 13% delle bambine e l’8% dei bambini”. Al di là della questione clinica, il dubbio di qualche problema di abuso può accendersi quando “un bambino non ha un'attività sociale, relazionale normale e presenta una sorta di trascuratezza”. All’origine della sindrome del bambino scosso, spesso c’è “esasperazione”: si scuote il bambino violentemente perché si è al limite della stanchezza, per problemi di depressione post partum, ma anche per altri fattori perché “il maltrattamento – chiarisce Perilongo – si distribuisce in tutte le classi sociali, economiche e culturali.
Non è sempre collegato a un genitore violento”, ma piuttosto a quello fragile. Certo, “possono esserci condizioni psicopatologiche, ma spesso, questi casi si verificano in seguito a momenti” scatenati, ad esempio, dal pianto inconsolabile del lattante – i più colpiti sono i bambini tra le 2 settimane e i 6 mesi di vita – che “esaspera il genitore al punto che, in un momento di reazione inconsulta e immotivata, scuote il piccolo in modo violento.
Non serve che il movimento sia prolungato per causare dei danni perché la testa del neonato – avverte l’esperto – è molto più grande rispetto al corpo e i muscoli non sono abbastanza forti per contrastare la sollecitazione". Secondo una indagine recente, 1 caso su 4 di scuotimento può essere letale o portare al coma. “In generale – osserva Perilongo – possono esserci danni neurologici più o meno gravi che possono perdurare nel tempo", come disturbi dell’apprendimento, cognitivi, comportamentali, attacchi epilettici, ritardi nello sviluppo psicomotorio, cecità, diplegia spastica (paralisi di entrambi i lati), tetraplegia (paralisi di tutti i lati).
Il centro padovano, tra i primi in Italia, fondato quasi vent’anni fa dalla professoressa Paola Facchin, opera con un approccio multispecialistico allargato. "Il valore aggiunto – precisa Perilongo – è quello di essere esperti nel formulare la diagnosi”, quindi evitare di trasformare dei genitori in mostri, ma anche "nel gestire poi i rapporti con la famiglia e nel mondo del sociale, che deve dare supporto alla famiglia”. In termini di prevenzione, dato che i casi di maltrattamento si registrano all’interno del nucleo familiare, sono fondamentali “politiche a favore della famiglia, ma è improntate anche sensibilizzare l'opinione pubblica, far crescere la consapevolezza, soprattutto nei genitori, che il bambino – conclude – è un soggetto fragile".
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