(Adnkronos) – "Per chi si occupa di obesità, soprattutto di obesità grave", l'avvento dei nuovi farmaci per il trattamento di questa complessa patologia "è stato visto come la prima vera svolta degli ultimi 30 anni". A fare il punto all'Adnkronos Salute è Simona Bertoli, professore ordinario di nutrizione clinica e direttore della Scuola di specializzazione in Scienza dell'alimentazione all'università Statale di Milano. Nel quadro già caratterizzato dalla presenza di liraglutide e semaglutide, in Italia arriva una nuova molecola di questa classe terapeutica, tirzepatide, che agisce sia sui recettori Gip che Glp-1. "La precedente svolta era stata la chirurgia bariatrica" nel suo sviluppo "meno invasivo. Poi c'era stato un ulteriore avanzamento, che era stato quello delle cosiddette Very low-calorie ketogenic diet (Vlckd), che per tanto tempo sono state molto poco attenzionate dal punto di vista scientifico e invece negli ultimi anni hanno avuto diversi studi a sostegno della loro efficacia anche nelle forme più gravi, e sono attualmente molto utilizzate". Ma "un approccio farmacologico non c'era. Ora, in mezzo tra la dieta e la chirurgia bariatrica, abbiamo tante opzioni. E sono previsti anche nuovi farmaci nei prossimi anni, che si stanno testando e sono in fase 1 o 2. Parliamo almeno di un'altra decina di terapie", dice. Il tirzepatide "va ad ampliare l'armamentario farmacologico che in questo momento abbiamo a disposizione per l'obesità", evidenzia l'esperta che dirige i Centri obesità e il Laboratorio di ricerca sulla nutrizione e l'obesità all'Irccs Auxologico di Milano. "E' un tema molto caldo in questo momento il trattamento farmacologico, ed è stato incluso nelle linee guida già diversi anni fa. Poi ovviamente nei vari Paesi i farmaci sono arrivati in tempi diversi, l'Italia è stata fra gli ultimi. Ma ora il nostro approccio alla patologia sta cambiando in maniera migliorativa, perché a questo punto nei pazienti che non hanno risposto a quello che resta il primo livello di terapia, cioè l'intervento sullo stile di vita, abbiamo un secondo step. E nelle persone trattate effettivamente abbiamo avuto ottimi risultati dal punto di vista del calo di peso e anche della correzione di quelli che sono i fattori di rischio e le complicanze dell'obesità". "Rimane in questo momento fortissimo il problema dei costi – spiega Bertoli – Perché i farmaci sono a prescrizione medica obbligatoria, ma completamente a carico del paziente, a meno a che non abbia anche il diabete" e allora vengono rimborsati. "Questo succede perché l'obesità è stata sì riconosciuta anche in Italia nel 2019 come patologia, ed è quindi entrata nell'elenco delle patologie croniche, tuttavia non sono stati definiti né i codici di esenzione specifici né i Lea. A questo si aggiunge il problema che la patologia colpisce in particolare nelle fasce sociali più basse. In questo momento siamo nell'ordine dei 350 euro al mese", per una terapia che è a lungo termine. "All'inizio – analizza Bertoli – i pazienti vivevano l'idea di affidarsi al farmaco un po' come una sconfitta sulla terapia dietetica che non riuscivano a fare, e nutrivano una certa diffidenza perché si veniva da anni di farmaci mai specifici per l'obesità, prescritti spesso in maniera off label, che in alcuni casi avevano degli effetti collaterali importanti, e in parte anche per una questione di comunicazione, perché si diceva che la strada da seguire non era quella farmacologica ma imparare a mangiare, migliorare l'attività fisica, lo stile di vita. Ad oggi invece, alla luce di quanto si è sentito della sicurezza di questi farmaci e degli ultimi dati usciti sulla semaglutide che mostrano una riduzione della mortalità per malattia cardiovascolare, l'atteggiamento del paziente con obesità verso la terapia è significativamente migliorato". Nella pratica, "il trattamento lo proponiamo a molti pazienti, ma – osserva l'esperta – il numero di quelli che accettano è più basso, essenzialmente per la questione dei costi. Nell'ambito dell'attività libero-professionale rilevo un dato più alto, nell'ambito del sistema sanitario nazionale i numeri si riducono. Abbiamo appena fatto uno studio in cui, appunto, abbiamo iniziato con la sola terapia dietetica e a chi non rispondeva veniva offerto il trattamento farmacologico e di questi solo il 27% ha accettato, nonostante il fallimento sulla dieta. Andando a indagare le cause, emergeva che la ragione principale in un 60% dei casi era di tipo economico". Resta quindi questo freno. Anche perché la durata della terapia non è breve. "Gli studi che sono usciti fanno vedere che il trattamento seguito fino a 4 anni di distanza determina una prima perdita di peso importante e poi un mantenimento del peso perso. Però fanno vedere anche che chi lo sospende in questi studi randomizzati in placebo ha un rischio di recupero del peso. Si tratterà di vedere cosa succede nella vita reale. E' possibile che la perdita di peso porti le persone verso un diverso investimento su se stesse e a cambiare il livello di attività fisica e altri elementi che potrebbero anche far sì che non tutti recuperino il peso perduto. Però al momento questi dati non li abbiamo", ragiona Bertoli. Quanto alla new entry tirzepatide, "promette dei risultati ancora maggiori, perché la perdita di peso riesce ad essere nel 30% circa dei pazienti anche intorno ai 30 kg, che è qualcosa di simile a quello che si ottiene nella chirurgia bariatrica. E si può dire che praticamente il 98% dei pazienti perde almeno il 5% del peso, che è il primo obiettivo di un intervento dietetico". —[email protected] (Web Info)