In molti si stanno facendo questa domanda: quanto rimane nell’aria il Coronavirus? Allo stato attuale gli scienziati non hanno trovato prove che il contagio possa contrarsi nell’aria eventualmente ‘contaminata’.
Per gli esperti, il CoV-2 non ha sufficiente carica infettante tale che possa trasmettersi con l’ausilio di micro particelle aeree. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ci sono ad oggi dati sufficienti per sostenere che il CoV-2 resista a lungo nell’aria e possa trasmettersi con facilità in questo modo.
È chiaro che il contatto diretto con un paziente affetto da Cov-2 rende il contagio molto probabile. Ma quando ci troviamo negli ambienti pubblici e per strada quanto bisogna preoccuparsi?
A questo proposito anche l’ISS, l’Istituto Superiore di Sanità, mantiene la stessa posizione dell’OMS. L’unica eccezione per ora è rappresentata dall’ambiente ospedaliero. Qui infatti si eseguono determinate procedure nel momento in cui si esegue l’intubazione di un paziente o quando si effettua la bronco-aspirazione. In questi e in altri casi il virus può diffondersi velocemente via aerea tramite particelle nebulizzate espulse dal paziente.
Trasmissione aerea Coronavirus
Il Coronavirus si contrae nel momento in cui si ha un contatto prolungato con una persona che espelle goccioline nebulizzate durante la tosse o uno starnuto. Queste particelle, chiamate droplets, hanno una dimensione di circa 1 nm (milionesimo di millimetro) o superiore. Ciò vuol dire che il contagio può potenzialmente diffondersi anche via aerea, ma tutto dipende dalla quantità di queste goccioline, dalla grandezza degli spazzi e dalla vicinanza con chi è positivo al virus e a quanto rimane nell’aria.
Per l’OMS e l’ISS il contagio via aerea in spazi pubblici e con distanze di sicurezza non è quindi dimostrato. Diverso è il discorso all’interno di spazi chiusi dove le diffusione potrebbe essere favorita anche dalla presenza di sistemi di ventilazione o condizionamento. Secondo la virologa dell’Università della Florida Ilaria Capua, non si può escludere che il Coronavirus possa diffondersi tramite i condizionatori. Ma qual’è la distanza massima a cui possono arrivare le particelle droplets?
Gli scienziati dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti hanno riferito alla Casa Bianca che il Sars-CoV-2 è stato rinvenuto in campioni d’aria fino a 1,8 metri di distanza rispetto ai pazienti positivi. Il presidente del comitato che si occupa di studiare il virus, Harvey Fineberg, sostiene che le particelle di aerosol prodotte parlando o respirando potrebbero contribuire a diffondere il virus.
Il documento degli scienziati statunitensi cita anche uno studio effettuato presso l’Università del Nebraska, che ha rilevato come l’RNA del virus sia stato trovato anche a due metri di distanza nelle stanze dei pazienti.
Naturalmente è bene sottolineare che si parla di ambienti chiusi e deputati alle cure di chi ha contratto il virus, ovvero l’ambiente ospedaliero, dove le concentrazioni di aerosol emesse dai pazienti sono ovviamente più elevate. Dunque nessuna dimostrazione che possa diffondersi allo stesso modo in spazi pubblici sufficientemente grandi.
Quanto rimane nell’aria
Non rimane che chiedersi quanto rimane nell’aria il Coronavirus. Secondo uno studio pubblicato a marzo dal New England Journal of Medicine, il virus può resistere in ambiente chiuso fino a tre ore, con carica virale che già dalla seconda ora si è dimezzata.
Un altro recente studio del Mit (Massachusetss Institute of Tecnology) sostiene che uno starnuto genera droplets che possono arrivare fino a 6-8 metri di distanza. I droplets più grandi resistono e si depositano sulle superfici, quelli più piccoli evaporano.
Nonostante ciò, secondo il virologo Fabrizio Pregliasco, pur essendo vero che in spazi chiusi poco areati e strutture ospedaliere ci sono maggiori possibilità di diffusione del virus, in altri contesti non ci sono pericoli se si mantengono le giuste precauzioni.