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Potrebbe nascere un nuovo utilizzo medico degli ultrasuoni: aiutare pazienti con gravi danni cerebrali a guarire. Il coma è una delle patologie più temute. Innanzitutto perché una cosa molto incerta. Quando un paziente va in coma, nessuno sa quanto tempo durerà, se è reversibile oppure no. Questo naturalmente in caso di coma naturale, non farmacologico. Com’è possibile, allora, che gli ultrasuoni possano aiutare i pazienti?
Svegliare i pazienti dal coma?
Una delle caratteristiche del coma è che i medici non hanno alcun modo per sapere quali danni permarranno anche dopo che il paziente si sarà svegliato. Anche se si pensa che il coma sia uno “stato vegetativo”, ecco cosa può accadere: il paziente potrebbe aprire gli occhi, per esempio, o emettere qualche suono. Pazienti minimamente coscienti potrebbero essere in grado di comunicare un po’ di più, o eseguire qualche ordine – ma non precisamente e non spesso.
Una tecnica sperimentale riportata nel Journal Brain Stimulation ha proposto una speranza allettante di poter “svegliare” i pazienti dopo uno stato comatoso. Tutto ciò di cui si ha bisogno è una coppia di cavi di accoppiamento e una batteria.
Ultrasuoni: come funzionano
Ok, non proprio. Nonostante i ricercatori dell’UCLA chiamano questo tentativo una “ripartenza con i cavi” per il cervello, non si viene davvero collegati a essi. Infatti, lo strumento utilizzato è molto comune in medicina: gli ultrasuoni. In particolare, sono degli ultrasuoni che sfruttano pulsazioni a bassa intensità, ancora più bassa degli ultrasuoni Doppler, che i medici usano per controllare la presenza di coaguli nel sangue o arterie chiuse.
Per ora questo metodo è stato sperimentato su una persona sola, su un paziente di 25 anni minimamente cosciente dopo un coma. Utilizzando gli ultrasuoni per colpire il cervello, in particolare il talamo, pare che i neuroni del paziente siano stati stimolati al punto da causare dei veri miglioramenti. Dopo alcune sessioni di 10 minuti intervallate, il paziente ha iniziato a mostrare progressi notevoli a partire dal giorno seguente. Ha riottenuto la piena coscienza, la comprensione del linguaggio, e riesce a fare sì e no con la testa in maniera stabile.
È un miracolo? Non si sa ancora. Si tratta di un singolo paziente e ci sono ancora molti studi da fare. Naturalmente ci saranno ulteriori test al Ronald Regan UCLA Medical Center.
Altre terapie
In realtà, non esiste una vera e propria cura per il coma. Ma molti pazienti che si sono risvegliati hanno raccontato di ricordare alcuni episodi durante il loro “sonno“. In particolare, ricordano di amici e parenti che sono stati accanto a loro. La loro presenza e il loro sostegno li ha aiutati, in qualche modo, a restare attaccati alla vita. Per questo motivo, i medici spesso danno delle precise linee guida a chi va a trovare pazienti in stato comatoso.
Prima di tutto, entrando nella stanza bisogna presentarsi. Poi è importante parlare al paziente in coma in modo normale, come se parlassimo a una persona qualsiasi. Potreste raccontare la vostra giornata, esprimere dubbi e preoccupazioni, parlare di cose belle e brutte. Fate anche sentire la vostra presenza attraverso gesti di supporto. Per esempio, potreste prendere loro la mano o accarezzare una guancia.